DEPRESSIONE
La depressione clinica, chiamata anche depressione maggiore, è uno stato in cui è presente un marcato e persistente umore depresso o la perdita di interesse, insieme ad altri indicatori fisici e mentali, come ad esempio la difficoltà a dormire, scarso appetito, diminuita concentrazione e sentimenti di impotenza e inutilità. È possibile fare diagnosi di depressione solo quando alcuni di questi elementi sono presenti nello stesso momento, per almeno due settimane, e interferiscono significativamente con la capacità della persona a svolgere le attività quotidiane.
La depressione è una delle più frequenti patologie mentali in aumento a livello mondiale: l’OMS ritiene che entro il 2020 diventerà la maggiore causa di malattia nei Paesi industrializzati. Secondo lo studio ESEMeD (European Study of the Epidemiology of Mental Disorders) in Italia, la prevalenza della depressione maggiore nell’arco della vita è dell’11,2%, può esordire ad ogni età, è più frequente tra i 25 e i 44 anni ed è due volte più comune delle donne adolescenti ed adulte (14,9% nelle donne e 7,2% negli uomini).
Kessler e collaboratori (2007), hanno analizzato i risultati di recenti ricerche epidemiologiche e concluso che la depressione attualmente è una malattia: molto diffusa, persistente, e spesso gravemente invalidante. Anche se la percentuale di persone con disturbi dell’umore in trattamento è aumentato notevolmente negli ultimi anni, la maggior parte dei casi lo richiede dopo molto tempo dall’esordio. In particolare, in Italia solo il 29% dei soggetti affetti da depressione maggiore ricorre a un trattamento nello stesso anno in cui insorge. La depressione non riconosciuta e quindi non trattata espone chi ne è affetto a varie conseguenze negative. Chi è depresso può isolarsi, lavorare in modo meno efficiente, trascurare le sue responsabilità. Soprattutto se giovane, può far ricorso all’alcol o a droghe per cercare di alleviare la sua sofferenza. Nei depressi, soprattutto negli anziani, vi è una frequenza più elevata di ricoveri ospedalieri e di suicidi. E’ quindi importante riconoscerne prontamente i sintomi e rivolgersi a un medico per evitare le conseguenze più gravi della malattia (ad es. il suicidio).
Il Disturbo Depressivo è, infatti, associato ad una elevata mortalità. Fino al 15% degli individui con un Disturbo Depressivo grave muore per suicidio. Ciononostante, la maggior parte dei soggetti depressi non arriva ad avere ideazioni suicidarie o sintomi particolarmente gravi, ma lamenta sintomi che spesso non vengono neanche associati facilmente alla depressione stessa (stanchezza cronica, malesseri fisici, apatia, astenia, calo del desiderio, irritabilità, ecc.).
COME SI MANIFESTA
Secondo il DSM-5 per parlare di vera depressione è necessario che siano presenti cinque o più sintomi contemporaneamente, di cui almeno uno costituito da umore depresso o perdita di interesse o della capacità di provare piacere in quello che si fa. Tali disturbi devono durare almeno due settimane ed essere presenti per buona parte del giorno; inoltre, si evidenziano cambiamenti significativi in determinate aree di funzionamento della persona, ad esempio in ambito lavorativo o familiare.
I sintomi elencati nel DSM-5 comprendono:
- Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno.
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Marcata diminuzione di interesse o piacere (anedonia) per tutte, o quasi tutte le attività, per la maggior parte del giorno.
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Perdita di peso significativa in assenza di diete o aumento di peso (ad esempio, può essere significativa una variazione del peso corporeo superiore al 5% nell’arco di un mese), o riduzione/aumento dell’appetito quasi ogni giorno.
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Insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno.
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Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno.
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Fatigue o mancanza di energia quasi ogni giorno.
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Perdita di energia.
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Sentimenti di autosvalutazione o di colpa ecessivi o inappropriati quasi ogni giorno.
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Ridotta capacità di pensare o concentrarsi, o indecisione quasi ogni giorno.
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Pensiero ricorrente di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico, oppure tentato suicido o piano specifico per suicidarsi.
Per quanto riguarda la gravità della depressione, si può immaginare l’esistenza di una scala da 1 a 10, dove 1 raffigura la demoralizzazione e 10 la depressione maggiore grave, passando per la depressione maggiore lieve e moderata. E’ possibile distinguere poi una forma di depressione cosiddetta sottosoglia o non clinica o minore, termine che indica situazioni in cui sono presenti pochi sintomi, di minor intensità, e con circoscritto impatto sul funzionamento relazionale e sociale. Un elemento che accumuna tutte le forme di depressione è la riduzione più o meno intensa di attenzione, concentrazione, memoria. Così la persona si sente meno capace di pensare, concentrarsi, prendere decisioni.
Nello specifico, è possibile distinguere altri disturbi dell’umore di tipo depressivo:
Il Disturbo Depressivo Persistente (o disturbo distimico o minore) caratterizzato da presenza di umore cronicamente depresso, per un periodo di almeno due anni. In questo caso i sintomi depressivi, nonostante la loro cronicità, sono meno gravi e non si perviene mai a un episodio depressivo maggiore.
Il Disturbo Disforico Premestruale: sono presenti diversi sintomi depressivi nella maggior parte dei cicli mestruali ed il miglioramento si registra entro pochi giorni dall’insorgenza delle mestruazioni.
La Depressione secondaria: depressione dovuta a malattie psichiatriche e non, o a farmaci. Spesso, infatti, alcune malattie (ad esempio: sclerosi multipla, morbo di Parkinson, tumore cerebrale) mostrano come primi sintomi variazioni del tono dell’umore.
Una forma particolare di depressione è la depressione post partum. Quest’ultima colpisce l’8-12% delle neomamme e si manifesta generalmente fra la sesta e la dodicesima settimana dopo il parto. Il trauma della nascita e la separazione dal bambino, possono originare sindromi quali ansia e depressione, senso di vuoto che a volte può spingere la neomamma a forme di bulimia. La depressione post partum interferisce con la capacità della mamma di prendersi cura del bambino sia da un punto di vista pratico che affettivo.
La depressione può comparire associata ad altri disturbi mentali, come il disturbo da panico, il distubo ossessivo-compulsivo, l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il disturbo di personalità borderline.
QUALI SONO LE CAUSE DELLA DEPRESSIONE
I disturbi depressivi possono comparire a seguito di un evento scatenante (per esempio un lutto imprevisto e improvviso, un rovescio finanziario, ecc.), ma altre volte senza un motivo apparente. Se, come spesso succede, gli episodi depressivi sono più di uno, il primo episodio di solito inizia dopo un evento o situazione stressante, mentre negli episodi successivi il collegamento con un fattore scatenante può essere meno evidente o apparentemente assente.
Come per la gran parte dei disturbi psichici, la causa dei disturbi depressivi è da ricercarsi nell’interazione tra fattori biologici, genetici e psicosociali. In molti casi i disturbi depressivi insorgono in seguito ad eventi stressanti; tuttavia, non tutti coloro che si trovano a dover fronteggiare situazioni stressanti sviluppano un disturbo depressivo.
Cause biologiche: si sono riscontrati cambiamenti nella regolazione dei cosiddetti neurotrasmettitori quali la serotonina e la noradrenalina, sostanze chimiche che controllano il passaggio degli impulsi nervosi nel cervello. La diminuzione della noradrenalina porta ad una minore capacità di prendere iniziative e la diminuzione della serotonina porta a un peggioramento nel sonno. Soprattutto nell’anziano, la depressione può essere anche favorita da malattie croniche e da deficienze alimentari che portano ad esempio ad una carenza di vitamina B12, e dagli effetti collaterali di alcuni farmaci.
Cause genetiche: i parenti di primo grado di una persona con disturbo depressivo maggiore hanno un rischio 2-3 volte più alto di avere nella loro vita un episodio depressivo.
Cause psicosociali: il rischio di depressione è maggiore nelle persone con scarsa stima di sé, tendenti al pessimismo, poco fiduciose. Gli episodi depressivi possono essere preceduti o favoriti da eventi o situazioni stressanti che vengono vissuti da chi è più vulnerabile alla come difficoltà, perdite gravi e insuperabili o come fallimenti. Tra di essi vi sono: lutti, separazioni coniugali o interruzioni di legami affettivi, difficoltà nelle relazioni familiari, conflitti e incomprensioni interpersonali, malattie fisiche, soprattutto se croniche e invalidanti, licenziamenti, fallimenti o problemi sul lavoro.
PROFILO METACOGNITIVO
Il Disturbo Depressivo Maggiore è considerato uno dei disturbi più debilitanti. L’impatto sulla qualità della vita è profondo e associato ad un deterioramento importante del funzionamento sociale. Numerose ricerche in letteratura documentano la presenza di problemi interpersonali sia come causa che come conseguenza del disturbo; le persone depresse sono meno attive e soddisfatte della loro vita sociale e frequentemente riportano difficoltà nella relazione con i propri compagni, figli e amici. C’è un crescente interesse intorno alla possibilità che deficit nella cognizione sociale possano contribuire alle difficoltà interpersonali riscontrate nei pazienti depressi. La ricerca in quest’area ha documentato un malfunzionamento nella teoria della mente (ToM) e nella codifica di stimoli emotivi mentre pochi studi hanno indagato il ruolo di abilità di ordine superiore, come la metacognizione o la mentalizzazione, nel deterioramento del funzionamento sociale nei pazienti depressi.
Un recente studio che mette in rilievo questo aspetto è quello di Ladegaard e colleghi (2014). Gli autori esaminano un campione di quarantaquattro pazienti durante il primo episodio depressivo attraverso un’ampia gamma di strumenti, compresa la MAS (Metacognition Assessment Scale).
I risultati indicano difficoltà presenti in tutte le aree di cognizione sociale esaminate, metacognizione, teoria della mente e percezione sociale, con differenze significative rispetto ai quarantaquattro pazienti del gruppo di controllo. In un precedente studio su caso singolo Carcione e colleghi (2008) riportano un miglioramento delle capacità metacognitive progressivo e parallelo al recupero dalla sintomatologia depressiva in una giovane donna.
Questi risultati sono in linea con lo studio di Fischer-Kern e colleghi (2013) che, utilizzando la RFS (Reflective Functioning Scale) sulla Adult Attachment Interview, ritrae un deterioramento significativo nell’identificazione e nell’ interpretazione dei propri e altrui stati mentali, in un campione di quarantasei pazienti donne con Disturbo Depressivo Maggiore, rispetto al gruppo di controllo. Pur con alcune discordanze tra gli studi, le evidenze disponibili suggeriscono un deterioramento ad ampio raggio della cognizione sociale durante la fase acuta del disturbo e aprono la strada a possibili implicazioni terapeutiche, come la necessità di valutare il malfunzionamento metacognitivo in fase diagnostica e di includere nella cornice di trattamento del Disturbo Depressivo Maggiore strategie terapeutiche focalizzate al recupero delle abilità implicate nella cognizione sociale.
LA TERAPIA
La Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale (TCC) ha mostrato scientificamente una buona efficacia sia sui sintomi acuti che sulla ricorrenza. A volte è necessario associare la TCC ai farmaci antidepressivi o ai regolatori dell’umore, soprattutto nelle forme moderate-gravi. L’associazioni della Terapia Cognitivo-Comportamentale e i farmaci aumentano l’efficacia della cura.
Nel corso della Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale la persona viene aiutata a prendere consapevolezza dei circoli viziosi che mantengono e aggravano la malattia e a liberarsene gradualmente attraverso la riattivarsi del comportamento e l’acquisizione di modalità di pensiero e di comportamento più funzionali. Inoltre, dal momento che la depressione è un disturbo ricorrente, la TCC prevede una particolare attenzione alla cura della vulnerabilità alla ricaduta. Per far questo utilizza anche specifici protocolli, come la Schema-Therapy, il lavoro sul Benessere Psicologico e la Mindfulness.
TRATTAMENTO
Il trattamento che proponiamo presso il nostro Centro si basa sulla Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI).
Il trattamento è strutturato essenzialmente in una psicoterapia individuale, in genere a cadenza settimanale. Obiettivi finali della terapia sono la riduzione della sofferenza e il miglioramento della qualità di vita del paziente, in accordo con le sue esigenze e priorità e tenendo conto delle sue difficoltà.
Rispetto alla Terapia cognitiva Standard, la TMI pone un’attenzione fondamentale alle disfunzioni metacognitive dei pazienti. Sulla base dell’assunto che uno dei nuclei patogeni della personalità sia la difficoltà ad identificare gli stati mentali, ragionarci su e utilizzare tale conoscenza per risolvere problematiche relazionali, la TMI ha sviluppato una serie di tecniche specifiche e di modalità di lavoro sulla relazione terapeutica atte deliberatamente a promuovere la metacognizione.
Per metacognizione si intende: la capacità di identificare gli stati interni, di ragionare su di essi, di costruire catene di nessi psicologici causali, quale azione dell’altro ha causato una nostra emozione, reazione e cosa noi abbiamo causato nell’altro; la capacità di prendere distanza critica dai contenuti mentali e trattarli come tali, invece che come dati di fatto, e formarsi una teoria della mente dell’altro ricca, articolata e complessa; utilizzare gli stati mentali come contenuto di strategie di planning, di pianificazione, di risoluzione di problemi sociali e legati alla sofferenza soggettiva.
In psicoterapia il paziente viene costantemente sollecitato a riflettere sui propri stati interni, a esplorare punti di vista alternativi ai propri schemi di interpretazione, a sperimentare insieme al terapeuta tecniche per affrontare e risolvere stati problematici. Vengono pertanto richieste prestazioni metacognitive che, se carenti, ostacolano il processo di cura, oltre che essere esse stesse fonte di problemi sia intrapsichici che interpersonali.